Ufficio cose di nessuno

di sommacco

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di A’lessia

Un giorno un’altra persona prende il tuo posto. Si sveglia e usa la tua tazzina, guarda fuori quello che vedevi tu, piscia dove pisciavi tu. Tu non si sa dove sia finita, il tuo angolino nel mondo è stato occupato. Tanto succede a tutti, quando ci sono di mezzo le cose. Fa i tuoi passi da là a là. Poggia lo sguardo e il pensiero dove li avevi poggiati tu. Respira la tua dose di aria. E se una  persona vede e usa le cose che vedevi e usavi tu allora sei tu? No. Tu non si sa dove sia finita. Hai spento la luce su quelle cose, e non ci ripensi neanche. Le hai lasciate. A un’altra vita. Era la tua porta, tu non ci passi più. Era la tua parte di letto, tu non la sogni più quella parte. Erano cose, solo cose. I cazzi sono con le parole, credevo. Non è colpa di quell’altra persona se quelle cose sono già esistite, non puoi pensarla così, idiota, è più colpa tua che gli hai dato vita a quelle cose e poi le hai lasciate là. Sono solo cose. Mi dico. Eppure sono solo cose così importanti che tu, chissà da dove, arrivi a pregare il dio delle tue cose che quell’altra persona ne sia all’altezza. E speri che veda quello che riuscivi a vedere tu. E speri pure che non veda niente. E non vedi l’ora di non sperare niente.
Troppo tempo dietro alle cose e tu non si sa dove sia finita.
Chi se ne va lascia un ufficio cose di nessuno. Per dispetto dovresti cancellarle quelle cose prima di chiudere la porta. Nudi e crudi. Nientepiù.
Tu non ti ritrovi perché non hai messo nello zaino le emozioni e loro si sono infilate in quelle cose. Ti era sembrato inutile portartele dietro in una casa così piccola. Hai fatto bene.
Le cose degli altri non sono niente, solo vita passata. Figuriamoci le mie. Senza considerare le nostre. Siamo troppe cose, alla fine.